Cari giovani, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare contro corrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente. Io ho fiducia in voi giovani e prego per voi. Abbiate il coraggio di “andare contro corrente”. E abbiate anche il coraggio di essere felici.
Papa Francesco, GMG 2013
Per informazioni sul cammino dei gruppi post-cresima: Veronica Scurani (338 9364540).
Dalla fede come diritto, alla fede come scelta libera
In Italia come in tutti i paesi di antica cristianità, il problema dell’impianto dell’Iniziazione cristiana dei ragazzi e del suo necessario rinnovamento per rispondere alla nuova sfida della fede, è paragonabile – secondo una felice immagine di E. Biemmi – alla ristrutturazione di una casa antica. Sarebbe molto più facile ed economico demolirla e costruirne una nuova. E’ anche vero che una casa antica ristrutturata è più bella di una nuova. Siamo così chiamati a ristrutturare una casa antica e ormai invecchiata, non per rimettere in valore il suo pregio di antichità (la tradizione), ma per renderla abitabile per gli inquilini di oggi. I quali, tra l’altro, non hanno nessuna intenzione di uscire dalla casa nel tempo della ristrutturazione. Da qui la fatica dell’impresa: tempi lunghi, disagi, resistenze da parte di tutti i soggetti implicati1.
Fuor di metafora possiamo affermare che se è vero che il permanere della richiesta di riti e di una “tradizione” cristiana è una risorsa, questo è anche al tempo stesso una croce. Veniamo da un processo di trasmissione della grammatica della fede operata attraverso il catechismo nelle parrocchie, ma dimentichiamo che non era la parrocchia, ma la famiglia a fornire le chiavi per interpretare il mistero della vita in una prospettiva cristiana. Il discorso sulla fede veniva fatto in famiglia e alla parrocchia rimaneva il problema di dare parole le condivise e corrette del discorso e di inserire in una comunità che condivideva la fede trasmessa in famiglia2. Oggi le parrocchie cercano ancora di offrire la grammatica della fede, ma non c’è più chi ne insegni la sintassi e permetta l’esercizio quotidiano del linguaggio appreso. E’ come chi pensasse di poter parlare un fluente inglese frequentando un corso di 24 ore… Il “discorso su Dio” disatteso in famiglia, rimane esperienza marginale e affidata ad un catechismo a cui si delega tutto il successo della trasmissione della fede. Un compito impossibile per un impianto pensato per altri obiettivi.
C’è quindi un passaggio da curare se non vogliamo buttare giù l’antica casa e vogliamo abitarla mente la ristrutturiamo. Si tratta di quella disponibilità che possiamo chiamare “accompagnamento pastorale alla domanda di sacramenti”. Una disponibilità ad essere aperti a tutti senza svendere il tesoro prezioso del vangelo e dei sacramenti, una disponibilità ad accogliere la domanda di “riti” ma con l’intenzione di farla evolvere perché maturi – nella misura del possibile – in domanda di fede. Anche la pastorale, come l’educazione è sempre una lotta: una lotta per la vita, una lotta per un bene più grande di quello che la persona vede. Si tratta, infatti, di curare il passaggio dal diritto di richiedere il sacramento per il figlio attraverso l’iscrizione ad un percorso nel quale non è richiesto a me adulto alcun impegno, alla scelta di coinvolgersi in un cammino di fede assieme al figlio. In altre parole di attivare nel genitore la consapevolezza che chiedendo il sacramento per il figlio è invitato a porsi una domanda su di sé, sulla propria scelta di fede.
Il passaggio che viene richiesto all’adulto genitore che presenta un figlio per l’iscrizione al catechismo è quello dal diritto alla scelta e dalla delega in bianco all’assunzione della responsabilità. E’ un passaggio che sfida al cambiamento (alla conversione) entrambi i partners del dialogo: i genitori e la parrocchia. Il genitore,– forse per la prima volta – si sente interpellato e deve decidere di comportarsi, anche in parrocchia, come adulto. La parrocchia e i suoi operatori sono costretti a vivere anche loro da adulti: disponibili senza timori ad accettare il “no”di chi non ci sta; terminando in tal modo la farsa di lasciare in pace il genitore e permettergli di continuare il suo gioco di compiacenza. Aiutare i genitori a crescere significa invitarli ad esprime la loro vera posizione e quindi a costruire con noi una relazione sincera.
Come ricordava già nel III secolo d.C. Tertulliano: “Cristiani non si nasce, ma si diventa!”: si tratta di un cammino a volte complesso e difficile, ma che (e lo stiamo sperimentando) porta molto frutto nella vita di chi accoglie il seme buono del vangelo.
Nel fluire del tempo, la Chiesa celebra il Triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo, quale culmine di tutto l’anno liturgico, che illumina il senso di tutta la nostra vita cristiana. Portale d’accesso a questi giorni santi è la celebrazione vespertina del Giovedì santo che commemora l’Ultima Cena, nel segno di una vita esposta, donata e consegnata: l’amore si fa servizio e dono, nel gesto di un Dio in ginocchio davanti agli uomini per lavare loro i piedi, e nel simbolo di un pane spezzato e del vino versato, profezia della consegna totale della vita. La liturgia del Venerdì santo sosta sul mistero della morte di Cristo e trova il suo centro nella Croce, strumento di morte, diventato luogo luminoso, in cui la gloria di Dio si manifesta nella debolezza mortale di un amore vissuto sino alla fine.
Nel Sabatosanto, la Chiesa contempla il “riposo” di Cristo nella tomba: è il silenzio sospeso dell’attesa, della speranza contro ogni speranza, perché «questa non è notte, | se donne in segreto preparano aromi, | se le piante mettono | gemme di luce, | se gonfia è la terra | di luce sepolta, | in attesa dell’alba» (D. M. Montagna). Così la Veglia pasquale fa risuonare di nuovo l’Alleluia, nella luce del Cristo risorto, centro e fine del cosmo e della storia. «A volte il buio della notte sembra penetrare nell’anima; a volte pensiamo: “ormai non c’è più nulla da fare”, e il cuore non trova più la forza di amare… Ma proprio in quel buio Cristo accende il fuoco dell’amore di Dio: un bagliore rompe l’oscurità e annuncia un nuovo inizio, qualcosa incomincia nel buio più profondo. Noi sappiamo che la notte è “più notte”, è più buia poco prima che incominci il giorno. Ma proprio in quel buio è Cristo che vince e che accende il fuoco dell’amore. La pietra del dolore è ribaltata lasciando spazio alla speranza. Ecco il grande mistero della Pasqua! In questa santa notte la Chiesa ci consegna la luce del Risorto, perché in noi non ci sia il rimpianto di chi dice “ormai…”, ma la speranza di chi si apre a un presente pieno di futuro: Cristo ha vinto la morte, e noi con Lui. La nostra vita non finisce davanti alla pietra di un sepolcro, la nostra vita va oltre con la speranza in Cristo che è risorto proprio da quel sepolcro. Come cristiani siamo chiamati ad essere sentinelle del mattino, che sanno scorgere i segni del Risorto, come hanno fatto le donne e i discepoli accorsi al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana» (papa Francesco).