Quando Dio ci sorprende.

Ogni nuovo inizio è una opportunità. L’invito che ha dato spunto al nostro anno pastorale è quello di un «cambio di sguardo». Osservare la vita, la nostra vita da una prospettiva diversa.
Quando ci poniamo da una prospettiva diversa le cose sono le stesse, ma si può cogliere di esse qualcosa di nuovo, una sfaccettatura mai considerata prima, un aspetto che getta una luce diversa anche su un singolo ambito della nostra esistenza. I nuovi inizi sono così. I cambiamenti ci costringono a ri-posizionarci, ad assumere una posizione diversa e quindi – se lo desideriamo – a guardare in modo diverso. In queste settimane, in questi ultimi mesi, sono cambiate diverse cose. Don Fabrizio ha salutato questa comunità con la quale ha camminato per dodici anni, sono giunto io, dopo un percorso di riflessione tra la comunità e il vescovo molto prezioso, ma che ha costretto a porsi in una ottica diversa. E poi la canonica in ristrutturazione. La canonica «casa della comunità». Un luogo che non solo accoglie, ma fa vivere e respirare quella idea di chiesa che abbiamo imparato a sperimentare in questi anni.
Un nuovo inizio che porta con sé tante domande, anche tanti dubbi, che costringe a ri-collocarsi e a domandarsi: «Io come sto davanti a tutto questo?».

Il vangelo citato ci invita ad allargare nuovamente il nostro orizzonte, alzando lo sguardo. Vedendo e osservando cose che diamo per scontate, che nel tempo perdono il loro fascino e non attirano più la nostra attenzione. C’è un ritornello nel vangelo, un invito ricorrente che vuole fare breccia in noi: «Non affannatevi». L’affanno. Gesù non dice che non dobbiamo preoccuparci delle cose, del futuro, delle nostre necessità…ci invita a non affannarci. Cos’è l’affanno? Tradotto secondo un termine moderno e molto comune potremmo dire che si tratta di «ansia». Non andate troppo in ansia. Sappiamo bene cosa è l’ansia. Io stesso potrei farvi un trattato! Percepire che la vita dipende solo da noi, che ci sfugge, che le cose ci prosciugano invece di arricchirci.

Gesù ci da due risposte.
La prima: per quanto ci affanniamo non possiamo aggiungere un giorno alla nostra vita…Cioè la nostra vita non è mai totalmente nelle nostre mani, a nostra disposizione. Ma soprattutto Gesù ci ricorda: «Voi valete….; valete ben più di…» . La vita vale più del cibo. La vita dipende da tante cose. Vivere non è sopravvivere. Vivere è essere capaci di dare vita, non semplicemente di respirare. Ci sono cibi che mantengono in vita, ma non ci rendono capaci di «dare vita». Il corpo vale più di quello che ci veste. Il corpo indica il nostro stare nel mondo, le nostre relazioni. Il nostro fare, il nostro adoperarci, le nostre scelte. I contatti che desideriamo ricevere e dai quali lasciaci cambiare. E’ il tatto con il quale entriamo in relazione…Dice la nostra capacità di esposizione.
«Perché io valgo» dice una famosa pubblicità…Ma sappiamo molto bene che non basta dire «valgo»; abbiamo bisogno di sentire: «Voi valete», cioè che qualcuno dica il nostro valore, la nostra importanza. Non lo dice il cibo, non lo dice il vestito. Ce lo dice Dio: «Tu per me vali. Vali a prescindere dal tenore di vita, o dalla reputazione».

Questa è la sorpresa di Dio. Scopriamo che Dio è tra noi, nella quotidianità. E’ nella novità di un figlio, nel gesto delicato, difficile ma esaltante del perdono donato e ricevuto. E’ nel lavoro fatto con cura, sapendo di creare qualcosa per qualcuno. E’ nell’insegnare, nel fare la minestra per i propri figli o nipoti. E’ nella risposta inattesa di un amico. Nel «grazie» di un povero. Il Dio delle sorprese è il Dio che ogni giorno ci viene incontro. Vuole entrare in contatto con noi. E’ il Dio che ci sorprende.

Cambiare il punto di vista, allargare lo sguardo ci fa sentire parte del mondo. Ci fa sentire che non siamo soli. Che ognuno di noi vale, al di là delle differenze, delle qualità, dei pregi o dei difetti, di ciò che possiamo mettere in campo e ciò che non possiamo vivere.
La canonica è un «nuovo» che ci raggiunge come sorpresa/dono e anche impegno, certo, ma per rinnovare il nostro vivere comunitario secondo lo stile evangelico. Lo stile di apertura e accoglienza, di approfondimento, di accesso a tutti e tutte le generazioni. In definitiva, quello a cui siamo chiamati è uno sguardo collettivo, in una parola comunitario. Per questo è importante per noi. Ci permette di ri-sintonizzarci continuamente su una visione comunitaria. Allora impareremo a vedere le qualità degli altri, la preziosità degli altri, anche le fragilità degli altri e ad accogliere le nostre. Ma soprattutto ci permette la condivisione: il discorso di Gesù è infatti un discorso plurale, rivolto ad un “voi” che ci interpella come comunità.

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«Caro Dio,
grazie di essere venuto. Hai scelto davvero il momento giusto, perché non stavo bene. Quando mi sono svegliato, (…) ho girato la testa verso la finestra per guardare la neve.
E allora ho indovinato che venivi.
Era mattino. Ero solo sulla terra.
Era talmente presto che gli uccelli dormivano ancora, che persino l’infermiera di notte, la signora Ducru, aveva dovuto schiacciare un pisolino e tu cercavi di fabbricare l’alba. Facevi fatica ma insistevi.
Il cielo impallidiva. Tingevi l’aria di bianco, di grigio, di azzurro, respingevi la notte, risvegliavi il mondo. Non ti fermavi.
è stato allora che ho capito la differenza fra te e noi: tu sei un tipo infaticabile!
Uno che non si stanca. Sempre al lavoro.
Ed ecco il giorno! Ed ecco la notte!
Ed ecco la primavera! Ed ecco l’inverno…
Ho capito che eri qui. Che mi rivelavi il tuo segreto: ogni giorno guarda il mondo come se fosse la prima volta.
Allora ho seguito il tuo consiglio con impegno. La prima volta.
Contemplavo la luce, i colori, gli alberi, gli uccelli, gli animali. Sentivo l’aria che mi passava nelle narici e mi faceva respirare. Udivo le voci che salivano nel corridoio come nella volta di una cattedrale.
Mi trovavo vivo. Fremevo di pura gioia. La felicità di esistere. Ero incantato.
Grazie, Dio, di avere fatto questo per me. Avevo l’impressione che mi prendessi per mano e che mi conducessi nel cuore del mistero a contemplarlo.
Grazie.
Oscar

(Eric-Emmanuel Schmitt, Oscar e la dama in rosa, RCS – MIlano, 2004)

Preghiera conclusiva

Padre buono fai di noi una comunità dal cuore libero e disponibile per uscire verso gli altri, incontrarli da veri amici, sentirci interessati alla loro vita, disposti a condividerne le gioie e fatiche.
Donaci un cuore libero perché sappiamo portare il tuo vangelo di gioia alle persone che ancora non lo conoscono, a quelli che vivono nella fatica, a quelli che sono emarginati dalla società.
E così saremo una comunità aperta alle sorprese di Dio.