Caritas lombarde: assistere gli irregolari, lo dice la legge

di Lorenzo Rosoli
in “Avvenire” del 23 gennaio 2019

«Le Caritas della Lombardia non allontaneranno dai centri di accoglienza che gestiscono i migranti che ne perderanno il  diritto, in applicazione del cosiddetto decreto Salvini. Gli ospiti rimarranno nei centri, a totale carico degli organismi ecclesiali». Così un comunicato diffuso ieri ribadisce quanto anticipato lunedì sera da Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana e delegato regionale Caritas. La decisione riguarderà in particolare «i titolari di permesso per motivi umanitari e coloro che riceveranno il nuovo permesso per protezione speciale che non potrebbero più essere accolti nel nuovo sistema di accoglienza (ex Sprar). Si stima – prosegue il comunicato – che saranno almeno 500 gli ospiti che beneficeranno di questa scelta e che, diversamente, secondo il nuovo provvedimento del governo tradotto nella legge 132/18, sarebbero usciti dal sistema di protezione».
Le Caritas lombarde, dunque, non mandano in strada nessuno di quanti già oggi ospitano e affiancano in esperienze di accoglienza sempre orientate all’integrazione e all’autonomia.

Una scelta meditata, condivisa, confermata dagli organismi ecclesiali. Che si sono confrontati anche sull’ospitalità dei «cosiddetti irregolari», cioè quanti «rimarranno privi di un titolo di soggiorno per la permanenza sul territorio italiano – per la scadenza del permesso umanitario non rinnovato perché privi del lavoro e in assenza dei presupposti per avere la nuova protezione speciale da parte della Commissione territoriale, o perché hanno ricevuto il diniego della domanda di asilo senza
ricorso, o senza sospensione del provvedimento in caso di ricorso».

Attingiamo, qui, alla relazione che Gualzetti tenne all’incontro della Conferenza episcopale lombarda svoltosi il 9 e 10 gennaio a Caravaggio alla presenza del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. «Dal punto di vista giuridico – spiegò Gualzetti in quell’occasione – sappiamo che non vi è alcun rischio nel garantire l’ospitalità di stranieri in stato di bisogno soprattutto se non ci sono di mezzo soldi pubblici e se non viene richiesto un corrispettivo agli interessati o a terzi. Ai sensi dell’articolo 12 comma 2 del testo unico 286/98: ‘…non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza
umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato’».
Mentre, dunque, si registrano sempre più richieste dalle prefetture di allontanare quanti non hanno più titolo a rimanere nei centri convenzionati, le Caritas lombarde rinnovano il loro «no» al decreto Salvini. «Promuovere l’integrazione degli immigrati, tutelare la loro dignità e i loro diritti, è il modo migliore per promuovere la sicurezza dei lombardi. Mentre espellere i migranti dalla rete dell’accoglienza – come fa il decreto sicurezza – significa trasformarli in ‘fantasmi’, costretti a
vivere di elemosina, espedienti, lavoro nero o altro. ‘Fantasmi’ che presto o tardi troveremo ai nostri centri d’ascolto, mense e servizi, in coda assieme agli italiani poveri», spiega Gualzetti ad Avvenire.

Su 26.864 posti messi a disposizione in Lombardia dal sistema di accoglienza dei profughi e dei richiedenti asilo, 4.514 sono offerti da strutture delle dieci diocesi lombarde: 3.129 nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) gestiti in convezione con le prefetture, 847 negli Sprar dei Comuni, 163 nel centri per minori stranieri non accompagnati. Se le Caritas diocesane decideranno di partecipare «alle nuove convenzioni con le prefetture – annuncia Gualzetti – continueranno in ogni caso a garantire, sempre a proprie spese, i percorsi di integrazione avviati» come «i corsi professionali e i tirocini in azienda». Proseguirà inoltre l’impegno con Caritas italiana «per incrementare il numero degli ospiti» accolti con i «corridoi umanitari», altra iniziativa a carico della Chiesa. «Rispettiamo le istituzioni e collaboriamo lealmente con loro – conclude Gualzetti – ma in questo caso la nostra coscienza ci impone di andare oltre quanto previsto dallo Stato, per il bene dei nostri ospiti, ma anche delle comunità che li accolgono, che si troverebbero a fare i conti con migranti abbandonati a loro stessi e facile preda dei circuiti irregolari».