La casa della comunità

Inaugurata la canonica di San Cesario

La canonica, già prima ancora che venisse ristrutturata si è trasformata da «casa del parroco» a «casa della comunità». Le sue porte aperte, la celebrazione della eucarestia nella cappella sottostante, hanno segnalato questa sua vocazione ad essere luogo della accoglienza.

La scelta di ristrutturarla si colloca in questo disegno. Accogliere significa offrire uno spazio bello, pur nella sua sobrietà, che invita ad entrare e ad abitarlo.

Di un luogo spesso diciamo che è «grazioso». La graziosità di un ambiente richiama la parola gratitudine, come anche la gradevolezza, e soprattutto la gratuità nel senso della apertura a tutti senza distinzioni tra chi ne ha diritto e chi meno.

La canonica è anche patrimonio che rende più bella San Cesario e il contesto della Basilica.

La canonica vuole essere una casa per tutti.

Una casa la si costruisce. Raccoglie in sé i sogni che coltiviamo, il futuro che immaginiamo, le persone che desideriamo che la abitino.

La casa – talvolta – la si riceve in dono. E’ una eredità. Anche questa canonica è un dono, che ci precede, raccoglie tante storie e domanda che non diventi proprietà personale, ma venga a sua volta donata.

La casa – soprattutto – nasce per il concorso di tanti: abbiamo voluto invitare tutti coloro che hanno contribuito alla sua ristrutturazione: dai sindaci, quello in carica e quello della amministrazione precedente, alle ditte che hanno lavorato sulla struttura, al rappresentante della regione e gli ingegneri coinvolti. La banca che ha permesso l’accensione del mutuo. L’ufficio beni ecclesiastici della Diocesi che rappresenta l’intervento della CEI nel progetto. don Fabrizio che ha accompagnato la comunità di San Cesario a intraprendere questo viaggio.

E poi c’è la comunità, fatta da noi, da tante persone che collaborano, ognuno a suo modo, a renderla viva.

Oggi ci diciamo «grazie» per aver reso possibile ricevere nuovamente in dono questa casa.

Questo concorso di persone, di competenze e di interventi, ci richiama la rete di relazioni che la canonica ha favorito e che desidera continuare a tessere.

Non è finita, perché domanda comunque che sia «vissuta» e curata da noi nei giorni avvenire. L’impegno per renderla ogni giorno accogliente è già segno di vangelo. Perché in definitiva ciò che rende queste pietre vive, come quelle della basilica, è la presenza «viva e vitale» delle persone, secondo uno stile di apertura e di generosità che renda questi spazi sempre più umani, e in fondo, sempre più evangelici.