Disseppellire Dio

Dal Diario di Etty Hillesum (1941-1943)
Preghiera della domenica mattina.

Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più
evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, eanche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te.
Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio.

Che Dio sia venuto sulla terra per salvarci è una delle cose più risapute del cristianesimo.
Forse ci lascia più stupiti (e anche più perplessi) la preghiera di Etty Hillesum nel suo Diario: “tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te”. Come possiamo noi salvare Dio? La logica vuole il contrario: siamo noi quelli che hanno bisogno di essere salvati?
“Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali”: sembra una frase blasfema, eppure come dare torto a una giovane donna ebrea che vede le persecuzioni attorno a sé, i suoi amici deportati e l’ombra minacciosa di Auschwitz crescere nel suo destino?
E cosa rispondere al grido di tanti nella malattia quando la guarigione a lungo invocata e attesa non arriva?
Etty Hillesum non domanda miracoli a Dio e nemmeno gli imputa responsabilità. Ma non per questo Dio è meno importante per lei: Dio abita in una parte nascosta del suo essere, in un luogo facilmente dimenticato e perduta. “Non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia”:
anche se questo Dio è così piccolo da essere contenuto in un nascondiglio dentro di noi, la sua presenza è anche capace di far sentire Etty avvolta in un abbraccio.
Come dice il vangelo di questa domenica, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Il Dio della nostra fede è venuto per salvarci, anche se sembra che le nostre vicende umane siano governate da altri, da colui che l’evangelista Giovanni chiama “il principe di questo mondo”, che per noi assume il volto di dittatori, uomini violenti e ingiusti, speculatori – e forse perfino i tratti di un piccolo virus che diventa improvvisamente l’essere più potente del nostro pianeta.
Dio è venuta a portarci una salvezza, ma sottile e discreta, talmente fragile che rischia di rimanere sepolta in fondo ai nostri cuori; è facile dimenticarsi di Dio, al punto che rischia di essere perduto per sempre. Tocca a noi salvare Dio, come tocca a noi salvare i segni di umanità che rischiano di affievolirsi sotto la pressione delle tante cose da fare o sotto le amarezze di una vita ingiusta o difficile.
La festa della Trinità ci ricorda proprio i molteplici volti del nostro Dio: il Padre creatore del mondo, eppure invisibile dietro la grandezza della sua creazione; il Figlio salvatore, che si è manifestato su questa terra e che è ugualmente morto su una croce; lo Spirito di santità che ha animato tanti uomini e tante donne nel corso dei secoli, ma di cui nessuno scienziato può fare una fotografia o somministrargli il test sierologico.
Un Dio presente, ma che bisogna “aiutare” a non scomparire. Un Dio che è
venuto per salvare e non per condannare: ma la condanna ce la possiamo
infliggere da soli quando smettiamo di curare quel “piccolo pezzo di lui” che abita in noi.