La valanga della Marmolada siamo noi che abbiamo smesso di pensare al futuro

di Antonio Scurati, “Corriere della sera” di mercoledì 6 luglio 2022

È una tragedia, quella della Marmolada, del tutto inedita: è la prima tragedia alpinistica imputabile senza ombra di dubbio alla crisi climatica, che dall’uomo è stata provocata. Questo innalzamento delle temperature, di cui da tanto tempo parliamo come di un problema in prospettiva, che ci toccava relativamente, ora ha fatto i suoi primi morti, qui in Italia: ecco, il dramma non è più nel 2100 o chissà quando, è qui e ora. Mi si chiede un commento e mi è difficile aggiungere qualcosa di sensato, ma forse posso raccontare un paio di cose per chi ancora non si rende conto di cosa sta succedendo nell’estate del 2022. Le notizie sono tante, ci sono la guerra, il Covid, la crisi economica, ed è possibile che qualcuno si sia perso gli aggiornamenti sul clima. Per cui lo dirò senza giri di parole: è un’estate, quella appena cominciata, che non si era mai vista nel Nord Italia, e non sappiamo niente di quello che succederà. Io la osservo dalla montagna dove abito, a quasi 2000 metri d’altezza. Forse la osservo meglio di chi sta in città perché la montagna è la frontiera del cambiamento climatico: due o tre gradi in più a Milano o Roma cambiano poco la vita delle persone, in montagna sconvolgono il paesaggio. Se in montagna si asciuga una fonte che ha sempre buttato acqua, lo vedi con i tuoi occhi e ti viene una gran paura. In città non te ne accorgi, vai avanti a vivere come sempre fino al giorno in cui, magari, aprirai il rubinetto e non scenderà più nulla: e allora scoppieranno le guerre per l’acqua. Ho fatto questo esempio perché abito in un posto che si chiama Fontane, nome dovuto proprio all’acqua che intorno a casa mia sgorga dappertutto. Anzi, sgorgava. Nell’estate del 2022, dovremmo cambiare il nome in “Fontane Perdute”. I torrenti sono asciutti e i fieni, che qui si sono sempre tagliati a metà luglio, erano già maturi un mese fa, e tra i muretti delle mulattiere sta fiorendo in questi giorni l’epilobio, che di solito annuncia l’arrivo di agosto. Se ai primi di luglio fiorisce un fiore di agosto, che cosa succederà tra un mese? Non ne abbiamo idea. Non lo sa né la scienza, né la saggezza degli anziani. L’acqua che bevo in casa, e che viene da una fonte a 2350 metri che ha sempre buttato acqua in estate e in inverno, ci sarà ancora in agosto? Nessuno sa rispondere.

La stessa situazione si verifica sui ghiacciai. Ho amici che gestiscono un rifugio sul Monte Rosa, a 3500 metri d’altezza. È da pochi anni che vedono piovere, lassù, in estate: per tutta la loro vita avevano visto soltanto nevicare (e se sembra un piccolo cambiamento, devo spiegare che l’acqua scioglie il ghiaccio molto prima del sole: mettete un cubetto di ghiaccio in un bicchiere d’acqua e un altro su un piatto, e fate la prova). In questo momento i ghiacciai del Rosa hanno l’aspetto che gli anni scorsi avevano a Ferragosto: la neve caduta in inverno, ha finito di sciogliersi all’inizio di giugno, con un mese e mezzo di anticipo sulle abitudini. Cosa succede quando il ghiaccio vivo viene sottoposto a un’estate così, e invece di prendere due o tre settimane di sole e di caldo ne prende due o tre mesi? La risposta è semplice, è come per la mia fonte: non lo sappiamo.

La tragedia della Marmolada giunge come una dolorosa terapia d’urto che è costata la vita a molte persone del tutto innocenti e che sottrae argomenti vacui ai negazionisti climatici e agli scettici, che oggi si ritrovano disarmati di fronte a una tragica evidenza. Ma mi chiedo: sapremo imparare la lezione? Troppi sono gli interessi in ballo e temo che non ci sia distacco di giacchiai, siccità diffusa, tropicalizzazione meteorologica in grado di distrarci dall’adorazione del dio denaro.

Adesso non vedere è divenuto impossibile. La tragedia della Marmolada riguarda evidentemente tutti noi non per una facile, spesso ipocrita, retorica umanitaria ma perché sotto quella valanga di ghiaccio tagliente sono state sepolte le nostre false illusioni secondo le quali il nostro pianeta sarebbe in piena salute. Peggio ancora: noi siamo i sepolti e i seppellitori. Nell’era dell’antropocene, la natura non c’entra più niente. Ora l’ambiente terrestre lo plasmiamo noi esseri umani. A staccare la valanga dal ghiacciaio – un tempo ritenuto perenne – sono stati i nostri appartamenti surriscaldati d’inverno e refrigerati con condizionatori d’estate, la nostra economia che non si preoccupa della sostenibilità ecologica, il nostro spreco, la nostra incapacità di riciclare, le nostre bistecche al sangue, la nostra pigrizia che ci spinge ad usare l’auto anche per andare a comprare il giornale sotto casa, la nostra miopia di fronte al futuro. La valanga, insomma, siamo noi. Siamo giunti a un punto di non ritorno. Adesso tutti noi vediamo i desolati greti dei fiumi riarsi, tutti noi fuggiamo un sole assassino. O reagiamo adesso e facciamo tutto quello che può esser fatto per invertire la deriva suicida del cambiamento climatico, o non lo faremo mai più. Se non riprendiamo adesso collettivamente la lotta per il futuro, soccomberemo presto allo sconforto, all’inerzia, a un malinconico abbandono. Il giorno del «si salvi chi può» è vicino. Quel giorno, però, va da sé, non si salverà nessuno.