“Sinodalità, serve una spinta di comunione”

di Mimmo Muolo in “Avvenire” del 24 ottobre 2023

Il Sinodo «non è una questione di aggiustamenti o riposizionamenti interni alla Chiesa. Un Sinodo così inteso è destinato a incidere davvero poco. Ce lo ricorda continuamente il Papa». Al contrario «una Chiesa che fa suo il metodo e i contenuti del cammino sinodale e che non smette – in tutti i suoi membri – di essere aperta all’azione dello Spirito in ordine alla realizzazione della comunione, è una Chiesa che può contribuire con maggiore credibilità a rendere migliore questo mondo».

Parola del vescovo Nunzio Galantino, che ha citato il teologo Yves Congar: «in molti persiste implicita l’idea che la Chiesa è fatta dal clero e che i fedeli ne sono solamente i beneficiari o la clientela. Questa orribile concezione si è impressa in così tante strutture e abitudini da sembrare scontata e impossibile da cambiare. E invece è tradimento della verità. C’è ancora molto da fare per declericalizzare la nostra concezione della Chiesa». Ne consegue che «la conversione invocata, prima del cambiamento delle strutture, richiede la maturazione di una spiritualità del “noi” ecclesiale». E dunque anche la sinodalità «richiede attitudini spirituali, che vanno coltivate e che non possono essere estranee ai percorsi di formazione di laici e ministri ordinati». In altri termini serve «una spiritualità della sinodalità che fa, di fatto, riferimento a una spiritualità di comunione, criterio di appartenenza alla Chiesa». Secondo Galantino, «coltivare tale spiritualità consente di vedere e vivere la Chiesa in una prospettiva dinamica, cioè in cammino». Prende forma in sostanza «una Chiesa inclusiva e non competitiva, che prende in considerazione la diversità dei carismi e pone l’accento sulle relazioni, sul dialogo, sulla corresponsabilità, sulla reciprocità e circolarità fra tutti i poli ecclesiali». Ciò significa che «al di là della sinodalità formale, che si dispiega nelle strutture e nei processi istituzionali come i consigli pastorali, i sinodi o i concili – ha proseguito il vescovo -, l’appello a camminare insieme e riunirsi in assemblea del popolo di Dio deve esprimersi nel modo ordinario di vivere e di operare della Chiesa. In modo da favorire e sviluppare la partecipazione e la corresponsabilità di tutti».

La conversione dunque riguarda sia i laici che i sacerdoti. Per i primi, ha spiegato Galantino, «si tratta di passare dalla dipendenza all’assunzione della responsabilità, che nasce dal battesimo. Per i presbiteri si tratta di passare dall’organizzazione alla riscoperta della dimensione della paternità».

Nella difficile stagione che stiamo vivendo, la questione del laicato è, a parere del vescovo, una delle più delicate. «La conversione richiesta oggi ai laici, nella prospettiva di una Chiesa sinodale, è quella di riscoprire e vivere il senso della corresponsabilità che si nutre di amore per la propria comunità, nella quale sono chiamati a portare il sapore dell’esperienza della vita». Ma perché questo avvenga e «nei laici si susciti una nuova volontà di impegno creativo – ha sottolineato il vescovo – occorre che essi si sentano partecipi di una comunità nella quale sono qualcuno, sono riconosciuti; debbono sentire che la loro presenza è desiderata e apprezzata».

Per i preti, invece, «la conversione parte da un serio percorso di formazione». Una formazione «che sradichi il fascino sempre più diffuso della logica accentratrice, per spingere verso uno stile paterno di conduzione della comunità. La paternità genera. E quando esercita l’autorità è per far crescere e non per far andare le cose secondo il proprio modello». Essere padri «significa guardare con fiducia ai propri figli, credere che anche loro “sanno fare qualcosa di buono” e permettere loro di farlo vedere, permettendo loro anche di sbagliare, aiutandoli a ricominciare, senza giudicarli e senza umiliarli». «Finché questo non diventa stile – ha concluso Galantino – la sinodalità stenterà a farsi strada».