Col Natale Dio ha cambiato indirizzo

Nel dicembre 2022, in contesto ancora pandemico, usciva “Don’t look up” (“Non guardate in su”), un film che narra la scoperta da parte di due scienziati astronomi di una cometa che si rivela – ben presto – diretta verso la terra e destinata a distruggerla. Nel tentativo di comunicare al mondo l’imminente catastrofe si palesano ben presto due schieramenti: chi si lascia interpellare da questo evento e chi, invece, come la politica, preferisce negarlo, ignorarlo, fingere che non sia un problema, o tutt’al più sfruttarlo per i propri interessi economici. Da qui lo slogan che la politica e i media rimandano costantemente: “Don’t look up” – “Non guardate in alto” – non lasciatevi interrogare, preoccupare o distrarre dai segni nel cielo, ma tenete lo sguardo ben fisso a terra, alla vita ordinaria e frenetica.

Questo invito, purtroppo, non eviterà l’impatto.

Il film ha fatto molto discutere per i molteplici significati e tematiche che lo attraversano. Qualcuno ha voluto leggerci anche le conseguenze della superficialità umana che non accetta di lasciarsi interrogare dai temi della vita, come la morte, il senso dell’esistenza, la responsabilità verso gli altri e verso se stessi. Si preferisce evitare di scrutare il cielo, di interrogarsi sui segni che la realtà ci manda. Si preferisce “fare finta” che non stia accadendo nulla di tragico nel mondo.

2000 anni fa, invece, qualcuno ha accettato la sfida di alzare lo sguardo e lasciarsi interrogare dall’apparire improvviso di una cometa.

Il Natale, infatti, non è invito a guardare il cielo per distogliere l’attenzione dalla terra, dai suoi drammi e dalle persone che ci vivono. Non è nemmeno ripiegarsi su se stessi, sul consumo sfrenato delle cose di oggi per trovare sollievo, anche solo per pochi giorni. Entrambe le strade sono “evasioni” dalla vita, in un modo o nell’altro.

Il Natale è invito a scrutare il cielo coi piedi per terra, come i Magi, che si sono lasciati interrogare dai segni senza fuggire in un mondo immaginario.

E se allora i pastori furono invitati a farsi affascinare dal coro degli angeli, dallo scintillare quasi accecante di una luce avvolgente, era solo perché il loro sguardo si posasse, presto, su un bambino.

La gioia e le luci natalizie, che avvolgono il nostro paese, ci invitano a “fare luce” sulle tenebre che oscurano tante realtà che sono accanto a noi e quelle che – purtroppo – affliggono tanti nel mondo.

La luce di un bambino, la verità di una umanità semplice e aderente alla terra, ci dicono che sono le persone in carne ed ossa a chiedere salvezza. Sono queste persone, come siamo noi, e le loro storie ordinarie a domandare pace e solidarietà.

Davanti ai potenti che preferiscono ignorare i “piccoli” e i fragili, che guardano ai numeri per confermare il loro potere, o che usano violenza per non perderlo, la carne fragile di un bambino ci ricorda che Dio non si accomoda tra i salotti dei dominatori, ma tra terra umida e polverosa dei diseredati.

Il Natale ci ricorda che Dio non è nel potere o tra i potenti. Se alziamo lo sguardo per cercare i “piani alti”, se lo cerchiamo lì, per il nostro senso di sicurezza o di tranquillità…, non lo troveremo. È tempo di guardare altrove. Perché da quella notte, Dio ha cambiato definitivamente indirizzo.