Il crollo del Ponte Morandi: la voce della realtà, le vere priorità del paese

Risultati immagini per ponte morandidi Giuseppe Savagnone in www.Tuttavia.eu del 16 agosto 2018

Con il crollo del ponte Morandi, la realtà, in tutta la sua brutale evidenza, fa irruzione in questo delicato momento della nostra vita pubblica. Quella di Genova è una tragedia che – proprio perché non è una fatalità, ma il frutto di un intreccio inestricabile di interessi, incompetenze, errori umani – costringe gli italiani a ricordarsi, finalmente, che i problemi del nostro Paese nascono da disfunzioni e contraddizioni che non vengono dal di fuori, ma sono profondamente radicate nel nostro stesso tessuto sociale, politico, culturale.[…]

La realtà è una maestra severa, talvolta crudele, però sa come farsi ascoltare, e la sua voce è molto più potente del confuso chiacchiericcio dei social. Essa ci dice, in questo momento, che l’urgenza a cui non possiamo sottrarci è quella di un profondo rinnovamento etico e civile. Se ha ragione chi sostiene che dietro il crollo del ponte Morandi c’è una lunga storia di interessate omissioni, di ingiustificati privilegi, di ciniche speculazioni, e se questo non è un episodio isolato, ma il drammatico venire alla luce di uno stile diffuso di corruzione, che avvelena buona parte della nostra classe dirigente, il problema non è il cedimento materiale di una struttura, ma quello, più profondo, di una società e dei suoi valori.

Altro che immigrati; altro che stranieri! Siamo noi, gli italiani, la minaccia. Siamo in un Paese dove la gestione della cosa pubblica risente ormai da decenni di un vuoto morale che ha deteriorato la vita pubblica e generato profonde ingiustizie. E di questo siamo tutti responsabili. Per il cittadino è facile esorcizzare le proprie responsabilità scaricandole sulla “casta” politica. Ma per tanti anni, durante la Seconda Repubblica, siamo stati noi – il “popolo”, gli elettori –, a portare in parlamento alcuni dei peggiori personaggi pubblici, forse, della storia repubblicana. Persone disposte a passare da un estremo all’altro dello schieramento politico, da un giorno all’altro, senza fare una piega, magari confessando, a posteriori, di essersi lasciate comprare, materialmente, a suon di euro. Siamo stati noi ad alimentare, nel quotidiano, uno stile di illegalità che ha reso l’evasione fiscale la regola per i grandi e per i piccoli, con la motivazione che “c’è chi fa di peggio”.

Insomma, al di là delle indignate proteste che si sentono nei bar, all’insegna del qualunquistico “sono tutti ladri”, c’è stata e continua ad esserci una sostanziale complicità tra le vittime e i mariuoli che sistematicamente le sfruttano e le derubano. E non si tratta di ingenuità, ma di una cultura diffusa, che ritiene il bene comune un’utopia e che porta la gente ad avanzare, in nome delle prevaricazioni degli altri, la pretesa di compiere le proprie. In questo clima, i ladri possono essere criticati, ma alla fine ricevono ammirazione e sostegno, magari nella speranza di poter godere di altrettanta impunità.

Tutto ciò non è solo indegno, ma anche dannoso – e non solo per la solidità delle infrastrutture come il ponte crollato. Si parla tanto di crisi finanziaria, denunziando immaginari complotti internazionali. Ma proviamo a chiederci: se uno ha dei soldi da investire, li investirebbe in un paese dove gli uomini politici di punta vengono condannati per frode e continuano a restare al loro posto, col pieno appoggio del loro elettorato, oppure in uno dove vige uno stile di correttezza?

Non è un problema di norme giuridiche, ma di costume. Se la legalità si dovesse misurare dal numero delle leggi, l’Italia ne sarebbe la patria. Secondo alcune stime, a fronte delle 3.000 della Gran Bretagna, alle 5.500 della Germania, alle 7.000 della Francia, da noi si calcola che ve ne siano fra le 150.000 e le 200.000.

Sappiamo tutti, però, che in realtà le regole vengono trasgredite da noi più che altrove. È come se ci divertissimo a moltiplicarle per poterle violare. Anzi è la loro stessa moltiplicazione che sembra favorire la loro reciproca neutralizzazione e assicurare, alla fine, l’impunità dei disonesti, che di solito si possono permettere dei buoni avvocati.

Il vero problema, allora, è di educare le persone a una cittadinanza responsabile. Se, invece di alimentare la rabbia della gente concentrandola sulle colpe degli altri, si cercasse di far capire che il “cambiamento” deve cominciare da ciascuno di noi, nella quotidianità della vita associata, con i sacrifici, ma anche con i benefici che da questo possono derivare, forse si comincerebbe a respirare nella nostra società, a partire dal basso, un clima diverso da quello avvelenato della corruzione e della sopraffazione reciproca.

E questo si incontrerebbe con lo sforzo di uomini di buona volontà – che pur ci sono, tanto al governo quanto all’opposizione –, desiderosi di interpretare correttamente il loro mandato e di lavorare alle vere priorità del bene comune, contro le manovre illusionistiche che distolgono da esse. È una strada lunga. Ma un ponte che crolla non si ricostruisce in un giorno.