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Ritroveremo la primavera

Dalla “Lettera alla Città 2022” del Vescovo Erio Castellucci nella Solennità di San Geminiano

«Ci siamo persi la primavera», ha scritto nei giorni scorsi una ragazza diciassettenne, riflettendo sul lockdown di due anni fa. Poi ha proseguito, con una nota di amarezza: «ed è ancora inverno». Ancora nel tunnel della pandemia, stiamo per perderci la terza primavera. Ma una cosa è perdere delle primavere dopo averne vissute decine, come nel mio caso e in quello di altri adulti e anziani, un’altra è perderle nella giovinezza. Cos’è l’adolescenza senza le corse libere, le feste a casa degli amici, le attività di gruppo, lo sport, gli abbracci? Quali segni lascerà nell’animo dei giovani un tempo così lungo di limitazioni, incontri sospesi, relazioni monche? Ritroveremo la primavera?

Proprio i giovani, gli stessi dai quali si leva il grido silenzioso che denuncia la grave crisi in atto, ci aiuteranno a ritrovare la primavera. Non sono un sognatore e so quanti problemi, specialmente in questo tempo, affliggono gli adolescenti, affiorando in episodi di bullismo, violenza, autolesionismo, disimpegno. La dispersione scolastica, che già prima della pandemia riguardava più di centomila alunni ogni anno, nonostante l’intensa attività delle istituzioni, si è accentuata con la pandemia. E si potrebbe proseguire con la lista dei malesseri. Prudenza, però, nel dare giudizi sui giovani d’oggi, nel gridare allo sfacelo morale, culturale, affettivo e sociale, nell’addossare agli adolescenti le etichette di teppisti, violenti e sfaccendati.

Il biasimo nei confronti dei giovani ha radici antiche ed è legato alla tendenza degli adulti a leggere il presente in termini di decadenza, per far risplendere la superiorità del passato, cioè del presente di quando loro erano giovani. Sant’Agostino, in un discorso tenuto più di sedici secoli fa, affermava non senza ironia: Troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli. Ma si può essere sicuri che se costoro potessero riportarsi all’epoca degli antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente. Se, infatti, tu trovi buoni quei tempi che furono, è appunto perché quei tempi non sono più i tuoi (Disc. Caillau-Saint-Yves 2).

Quando il mondo degli adulti rileva comportamenti inaccettabili nei giovani, è tenuto moralmente a premettere un esame di coscienza. Che mondo stiamo lasciando ai ragazzi di oggi? Quali valori abbiamo custodito per loro, quali ideali testimoniamo? Quale modello di vita adulta stiamo incarnando? Loro sono incerti e confusi, è vero: ma gli orizzonti futuri che si aprono, quegli orizzonti che noi adulti stiamo disegnando, che promesse contengono?  Ci scandalizziamo per gli atti di teppismo adolescenziale, ma non sempre risaliamo alle radici di una cultura adulta che sparge dovunque immagini violente e sbandiera l’aggressività come metodo normale nei dibattiti e nei confronti a tutti i livelli: familiare, sociale, politico e perfino ecclesiale… non a caso papa Francesco ha messo in moto in tutte le comunità cristiane uno “stile sinodale”, per educare i cattolici stessi ad ascoltarsi a vicenda e per seminare uno stile di ascolto reciproco in tutti gli ambienti.

È necessario allora uno sguardo nuovo degli adulti sui giovani: occhi che scrutano il bene prima di segnalare il male; occhi che guardano al futuro più che fissarsi sul passato. Scrisse San Giovanni Bosco, uno dei più grandi educatori della storia: «l’educazione è cosa di cuore» (Lettera del 29 gennaio 1883). Dal cuore, non dalle analisi, prende avvio uno sguardo nuovo sui giovani.

La sfida educativa si affronta non tanto biasimando nei giovani le sirene dell’istinto, dell’egoismo, della “vita facile”, quanto proponendo loro una “vita bella”, armoniosa, progettuale; e non tanto con le parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita. I giovani sono disposti ad ascoltare gli adulti, anche i più anziani, se li vedono realizzati come adulti; se si sentono da loro amati, accompagnati, compresi; se avvertono da parte loro uno sguardo di fiducia. La trasmissione intergenerazionale di tradizioni e valori, oggi così ardua, passa attraverso questo sguardo fiducioso sui giovani.

Spesso ci domandiamo “come parlare ai giovani”; ma la prima e più importante domanda è: “come ascoltare i giovani”. Anche se avessimo l’impressione di sentire cose sgradevoli, provocatorie e ingiuste, dovremmo partire dal loro vissuto, accettare che essi stessi si confrontino con la vita, stare al loro fianco e non dettare regole dall’alto. Saranno loro stessi ad indicare le strade per trovare, insieme a noi adulti, delle piste e delle risposte plausibili per la loro vita. Non saranno sempre i sentieri che noi avevamo pensato “per loro”, ma saranno i “loro” sentieri.

San Geminiano, che secondo la cronologia tradizionale diventò vescovo di Modena ancora giovane, aiuti gli adulti a mettersi più decisamente in ascolto dei giovani, perché è ripartendo dall’ascolto dei giovani che possiamo ritrovare insieme la primavera.

Itinerari di Iniziazione Cristiana

I calendari per la seconda parte del percorso

Per scaricare il calendario del primo ciclo (II elementare), clicca qui

Per scaricare il calendario del secondo ciclo (III elementare), clicca qui

Per scaricare il calendario del terzo ciclo (IV elementare), clicca qui

Per scaricare il calendario del quarto ciclo (V elementare), clicca qui

“Padre nostro che sei nei mari…”

di Alessandro Bergonzoni, in “La Repubblica” del 31 dicembre 2021

Nella notte di Natale due naufragi davanti alle coste greche hanno causato la morte di 27 persone, tra cui diversi bambini. Riportiamo la “preghiera” di Alessandro Bergonzoni.

Padre nostro che sei nei mari, chiunque tu sia, non dimenticare più, tra gli altri i Bambin Gesù che sono affogati e non nati a Natale. Noi intanto faremo la nostra parte. La faremo con le forze che ci restano e ne abbiamo ancora tante: basta solo non piangerli ma arrivare in tempo, non sopportare ma fare.

Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, diciotto, diciannove, venti, ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventisette… Contiamo fino a 27, a voce alta, adagio, pensando, un morto alla volta, almeno impareremo a sentirli in noi non a distanza, (soprattutto ora che non possiamo più nemmeno scendere in piazza uno accanto all’altro per dimostrare e raccontare).

Amare i bambini o a mare i bambini? Chiunque aveva un dubbio sul d’affarsi si ricreda, chiunque pensasse che le Ong non servono e che era finito l’esodo biblico ci ripensi, chiunque credesse che non potevamo accoglierne ancora si ravveda. Qualsiasi Europa sia o siamo, qualsiasi Italia o Grecia sia o siamo, soccorriamo, accorriamo, raccogliamo, occorriamo, non dubitiamo, non tergiversiamo, non rimandiamo, non dimentichiamo, non accettiamo. Altrimenti affonderemo anche noi nel mare dell’ineluttabile, dell’abitudine, della rassegnazione, e da lì nessuno ci potrà mai più aiutare a tornare a galla.

Allora usciamo dal non possiamo fare più di così, dal non possiamo esser dappertutto: possiamo, dobbiamo, vogliamo, son tutti verbi che finiscono per amo. Padre nostro che sei nei mari, chiunque tu sia, non farci più pensare o dire solo, ogni volta che c’è una strage: “Amen, così sia”.

Prima e dopo l’incendio del cielo i sussurri di luce di una lanterna

di Angelo Casati

in “Rocca” n. 24 del 15 dicembre 2021

Tu non ti scandalizzi, Signore,

se questa notte ti prego

non da chiese di incensi,

ma dal campo dei pastori.

Sto con loro mescolato,

pur se non li merito.

So che la luce verrà su di loro

e io mi farò in parte ladro,

la ruberò ai loro volti.

Sto con i pastori.

Era buio nel campo.

Come oggi è buio

in campi a non finire del mondo.

Dormivano o vegliavano i pastori?

Non dormono mai del tutto i pastori

ascoltano paure,

ascoltano i sogni delle pecore.

Ancora non sapevano

– e noi oggi lo scordiamo –

che tu sei un Dio che odi

il respiro leggero

delle pecore nel sonno.

Pure il belato

di un cucciolo di gregge.

Vegliavano – è scritto – i pastori.

E io a tendere orecchio

con loro al quasi non respiro

di donne e uomini

che non prendono sonno

nelle notti del mondo,

per fame, per viaggi

senza speranza,

per affogamenti,

per abusi su donne,

e non una carezza

che sfiori il viso

non una mano che stringa

la mano invocata dell’altro

nella notte del mondo.

Buio il cielo o di cobalto

le notti della terra.

Eppure qua e là nel campo

pulsare di lanterne,

quel grumo di luce

che ancora, Signore,

mi salva dal mio disperare.

So che tu aggiungeresti oggi

beatitudine

per chi tiene le lanterne del mondo.

Perché il buio – tu lo sai,

lo sai tu che hai creato la luce –

il buio senza stelle

e senza lanterne

genera sospetti,

crea fantasmi,

reclama distanziamenti,

porta con sé,

per miope sicurezza,

un chiudere ossessivo,

pesante, di porte.

Tu sai, Signore, che la nostra,

dall’in principio,

è storia di sospetti

Moltitudini, come i pastori,

marchiate

portano segno di sospetti,

non c’è posto per loro nella città

ancor meno nel tempio.

Sto con le lanterne dei pastori,

prima che d’un tratto si incendi

per volo d’angeli il cielo

e la luce si impigli alle nostre vesti

che odorano di pecore,

a squarciare il sospetto su Dio,

a cantare la fine del distanziamento:

il cielo si è chinato

sino ad abbracciare la terra,

e un Dio neonato,

non distanziato dai neonati dei pastori,

in fasce ruvide, coricato su paglia,

sarà segno per sempre

del cessato distanziamento.

È l’annuncio degli angeli nella notte

che chiameremo santa.

Luce impigliata ai visi,

da non crederci.

Un grumo il tempo della luce.

Ed è subito buio notturno.

Delle pecore svegliate dalla luce

ritorna il respiro trasognato.

Ritorna il tempo delle lanterne,

sotto un cielo di cobalto.

A noi, poveri pastori, rimane

il dondolare della luce nelle lanterne:

non abbiamo fedi sontuose

ma sfrigolio di fiamma

che sembra aver preso olio

dall’angelo

del campo dei pastori.

Con una fede da lanterna

veniamo a te così come siamo,

con l’odore delle pecore addosso.

Non ce lo scuotiamo.

Angeli ci hanno detto

che è nato per noi il Salvatore,

per noi sospettati

per noi che non siamo degni.

Arriviamo a te per via di lanterne.

E siamo qui a dirti

che è cosa buona e bella

che sopra il riparo

dove mettiamo in mangiatoie

cuccioli di pastori,

non si sia acceso il cielo,

niente distanziamento:

la donna, come una delle nostre,

dà latte al bambino che piange,

la lanterna dell’uomo fa luce,

i visi si avvivano a deboli chiarori.

Non una parola, Signore,

troppe ne abbiamo sprecate

parla il silenzio.

La lanterna è su un Dio

non distanziato,

il suo nome Emmanuele,

Dio con noi,

non distanziato.

Si ritorna a passi di lanterna.

A raccontare che Dio è in mangiatoie.

A illuminarlo

non sono cieli accesi

ma lanterne.

Va’ anche tu.

Non sprecare parole.

Va’ con lanterna.

Non venga meno per le strade

l’olio della notte santa,

forse basta questo sfrigolio di luce

per resuscitare un viso

dalla tomba del buio,

per dare un nome ai senza nome,

per strappare donne e uomini

alla dissacrazione della irrilevanza.

Nel tuo nome, Signore, di «non distanziato»,

più non può accadere

sequestro di salvezza

o di speranze o di gioia.

Daremo compimento a parole

universali dell’angelo del campo:

«Non temete. Vi annuncio una grande gioia

che sarà di tutto il popolo».

Dillo con la tua lanterna,

rischiarando per passione

ogni volto.

La luce della notte

si è fatta lanterna.

In cammino coi nostri figli

Presentazione dei percorsi di Iniziazione Cristiana

Come comunità sentiamo il desiderio e ricominciare i nostri cammini di iniziazione alla fede per i nostri figli, per questo motivo invitiamo i genitori ad una serata di presentazione dei percorsi di questo anno.

Giovedì 7 ottobre, ore 21, in Basilica per i genitori dei ragazzi di II e III elementare.

Per vedere il volantino di presentazione, cliccare qui.

Giovedì 14 ottobre, ore 21, in Basilica per i genitori dei ragazzi di IV-V elementare.

Per vedere il volantino di presentazione, cliccare qui.

Un nuovo inizio

L’immagine è una delle opere più significative di Claude Monet. Esposta per la prima volta il 15 aprile 1874 presso lo studio del fotografo Felix Nadar, pur non essendo una delle opere più importanti dell’artista, è unanimemente considerato il quadro che consegnò alla storia la nuova corrente pittorica detta ‘impressionismo’ ed iniziò un rinnovamento artistico di assoluto valore.

La tela ritrae il porto di Le Havre immerso nella foschia dell’alba mattutina; nell’orizzonte che lentamente si apre alla luce, si rivelano – indefinite – le navi ormeggiate. I colori mescolano insieme il blu tenue di un cielo che comincia a schiarirsi e il grigio dei fumi che salgono dalle ciminiere delle fabbriche cittadine confondendosi con gli alberi maestri delle grandi imbarcazioni mercantili. Una foschia che al nascere del sole salirà e “chiarificherà” tutto.

La palla di fuoco del sole comincia a restituire colore e vivacità al paesaggio senza inasprirne i contorni.

Così, nel silenzio che sembra respirarsi in queste prime ore del giorno, alcune piccole barche cominciano a prendere il largo, o probabilmente stanno tornando al porto dopo una notte di pesca.

Monet rappresenta pertanto uno scorcio di vita quotidiana volendolo fissare come fosse una istantanea nel momento dell’aurora, quando ancora c’è una sorta di mescolanza tra la notte che sta passando e il giorno che sta nascendo. È segno di una vita nuova che non intende rinnegare la notte, la paura, la non comprensione, ma si apre in attesa del nuovo che sorge; una novità che spesso si affaccia nel silenzio, che non ha bisogno di ostentare forza perché ha forza in sé. Questo tempo inedito che stiamo vendo rappresenta l’invito ad un tempo nuovo per la chiesa, come un giorno nuovo che comincia a schiudersi alle prime luci del mattino. Come la chiesa, così anche la nostra comunità desidera prendere il largo per aprirsi al mondo tanto quanto le piccole barche raffigurate. È l’invito, per noi a stare nuovamente a stretto contatto con il mondo per “inventare” un modo di vivere le relazioni e di portare l’annuncio del vangelo.

La messa in 30 parole

E’ appena uscito un piccolo volumetto, costruito con 30 disegni, 30 parole, 30 testi più semplici per adolescenti e 30 testi più complessi per adulti. Offre una presentazione della messa. Un abbecedario per imparare a starci dentro.

I disegni che accompagnano le 30 parole sono di don Luca Palazzi.

Riportiamo qui la Introduzione.

Impariamo a veder nuovamente il mondo attorno a noi da cui ci eravamo distolti nella convinzione che i nostri sensi non potessero insegnarci nulla di valido e che solo un sapere rigorosamente oggettivo meritasse di esser preso in considerazione. […] In un mondo così trasformato non siamo soli, e non siamo soltanto tra uomini. Questo mondo si offre anche agli animali, ai bambini, ai primitivi, ai pazzi, che lo abitano a modo loro e che coesistono con esso (M. Merleau-Ponty)

Una Nuova Edizione del Messale Italiano porta nuovo interesse e nuova attenzione verso il centro della liturgia cristiana: la celebrazione eucaristica. Come nella tradizione più recente della storia della Chiesa, anche questo Messale è composto di due parti. Una prima, l’ “ordinamento generale”, e una seconda, che propone le “sequenze rituali”. La prima è integralmente verbale – un grande discorso dottrinale e disciplinare sulla messa – mentre la seconda usa inchiostro nero e inchiostro rosso: il nero propone “parole da dire” mentre il rosso suggerisce “linguaggi da fare”. Le rubriche sono, perciò, rimandi al corpo, allo spazio, al tempo, alla azione. In questo piccolo libro cerchiamo di unificare i tre livelli del discorso del Messale: cerchiamo di offrire una “iniziazione” alla messa, alla celebrazione eucaristica, al sacramento dell’eucaristia, rispettandone la natura di “atto complesso”. Infatti dobbiamo riconoscere che nella esperienza spirituale della comunione con Dio, per Cristo e nello Spirito, operano tre esperienze elementari. Azioni di parola, azioni di pasto e azioni di preghiera sono all’opera nella sequenza rituale. Per questo il rito è la traduzione del Messale – dell’ordo – in questi diversi atti, mescolati, intrecciati e armonizzati. Messa è agire parlando, agire mangiando e bevendo, agire pregando, come comunità e come singoli. Ed esige, perciò, di essere compresa con un atto di intelligenza rituale.

Per questo vorremmo parlarne, a nostra volta, con una pluralità di linguaggi. Come la messa è una pluralità di codici, così anche in questo libro useremo tre registri. Il primo registro sarà quello di una ricostruzione dei linguaggi implicati in ogni “soglia rituale”. Il “glossario” è infatti disposto secondo l’ordine della sequenza rituale. Ogni “voce” si colloca in un dato momento della sequenza e ne illumina il senso, la portata e la ricchezza. Il secondo registro sarà quello destinato al lettore “in formazione”. Diciamo per ragazzi, ma forse potremmo dire per “catecumeni” e per “competenti”, nel senso classico di “coloro che cercano Cristo”: perciò utilizza esempi ed immagini più semplici e più immediate. Il terzo registro sarà puramente iconico, una immagine disegnata, che inaugurerà e segnerà ogni voce, aprendo ad essa come in un lampo di intuizione. La composizione di questi tre registri vorrebbe assicurare una introduzione alla messa che possa essere “iniziazione ai suoi linguaggi elementari”, perché possiamo averne una “intelligenza rituale”. In effetti, per gustare la liturgia eucaristica, per entrare nella sua teologia, per assaporarne la potenza umana e spirituale, occorre recuperare gli strati nascosti, ma efficaci, della nostra umanità. Il disegno di riforma della eucaristia voluto dal Concilio Vaticano II, perché la Chiesa uscisse dai vicoli ciechi della riduzione clericale, del parallelismo devoto, dell’inamidatura formalistica o dello sfiguramento informale, ha introdotto una profonda rielaborazione della esperienza di fede, chiedendo una nuova esperienza della azione rituale, che prevedesse la “partecipazione attiva” come regola. La liturgia è linguaggio comune, al quale partecipiamo in comunità.

Perché questo sia vero, e perché noi diventiamo comunità sacerdotale, dobbiamo riconoscere di celebrare come uomini adulti e donne adulte, ma tutti e tutte capaci di riscoprire l’animale, il bambino, il primitivo e il pazzo che abita in noi e del quale viviamo. Senza questa riscoperta, profonda ed elementare, nessuno può davvero celebrare. Può al massimo irrigidirsi in una cerimonia, o ritirarsi in una meditazione o concentrarsi su una idea. Ma questo non è celebrare. Perciò abbiamo tentato di scrivere, in 30 parole, un “piccolo abbecedario”, destinato ad un fedele-Pinocchio che non ha soltanto il problema di crescere, ma anche quello di non crescere troppo. Solo mediante queste attenzioni – che hanno forma di “resistenze”, ma anche di “rese” – la messa potrà permetterci di “diventare ciò che siamo” (Agostino).

Andrea Grillo – Daniela Conti – Luca Palazzi