Perché un bambino è nato per noi?

Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio.
Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.

(Isaia, 9, 5)

La pace sembra oggi sempre più fragile e prossima a spezzarsi definitivamente. In tante, troppe parti del mondo, venti di guerre, conflitti, tensioni e rivendicazioni soffiano prepotenti.

Non ci sono solo le drammatiche guerre in Ucraina e in Terra Santa, dove assistiamo quasi con indifferenza alla uccisione di tante persone e alla rovina del futuro di questi popoli, ma sentiamo anche minacce di nuove guerre, di invasioni, di “soluzioni definitive” ai problemi dei profughi, che sembrano echeggiare le “soluzioni finali” proclamate dai regimi nella prima metà del ‘900.

Per chi invoca maggiori interventi militari, un incremento di spese belliche e sostegno ai soldati al fronte.

A chi proclama il “diritto a difendersi con ogni mezzo”, a salvaguardare la propria identità e il proprio patrimonio storico e culturale contro chiunque lo minacci, il Natale…, ogni anno, risponde con il segno più fragile e più semplice: un bambino.

Mi verrebbe da pensare che anche allora, come oggi, difronte alla profezia di Isaia, molti abbiano sorriso, scosso la testa, ironizzato su queste parole di speranza.

Chi oggi invita a deporre le armi, a trovare vie di riconciliazione, viene visto come ingenuo, incapace di stare nella realtà, intento ad invocare soluzioni impossibili.

Abbiamo bisogno davvero di un bambino. Abbiamo bisogno del Natale. Abbiamo bisogno, cioè, di un ribaltamento, che ci faccia guardare la realtà con occhi diversi, non ingenui, né incantati, ma capaci di cogliere la bellezza dell’umano.

“Troverete un bambino avvolto in fasce” annunciano gli angeli ai pastori. Niente di più, niente di meno. Ma è proprio questo che siamo chiamati a contemplare. È proprio un bambino sul quale siamo chiamati a tenere fisso il nostro sguardo. Non per farci commuovere dalla zuccherosa tenerezza di un bambinello, ma per recuperare lo stupore per l’umano, l’interrogativo che scaturisce da una vita fragile che nasce e che ci viene affidata.

La pace nasce dalla disponibilità a tornare a guardare gli altri come uomini e donne, e non come numeri o come problema, come combattenti di una fazione o di un’altra, come costi sociali da ridimensionare.

Se siamo chiamati a cercare e trovare un bambino è perché abbiamo bisogno di recuperare la grammatica dell’umano e dell’esistenza, fatta di parole come vita, cura, futuro, accoglienza, impegno, responsabilità…

Abbiamo bisogno di tornare ad incrociare volti concreti, mani che cercano e piedi che scalpitano, bocche che parlano e occhi che interrogano.

La “prima pace”, quella disponibile e a nostra portata, nasce da qui: dal rinnovare il nostro sguardo senza infantilizzare Dio, ma vivendo da credenti adulti.